Monte Irto

Ho atteso tanto ma ne valeva la pena, 1960 metri di puro isolamento, una montagna nel mezzo di altre montagne, orizzonti vastissimi sulle più belle vette dell'Appennino

Una lunga escursione, prevalentemente in cresta, sulla dorsale del monte Panico e San Nicola prima e su quella delle Gravare poi, sorvolando boschi autunnali, di valle Fredda e di val Fondillo dai colori che tolgono il fiato; intorno solo montagne, il Marsicano, i Tre Mortari, il Petroso, i monti della Meta, Rocca Altiera, cima Bellaveduta e di Serra Matarazzo, il monte Amaro di Opi e quello della Majella uno in fila all'altro, insolita vista, e più lontani le cime del Velino e il Corno Grande. E' proprio vero, se non ci vieni non puoi nemmeno immaginare.

Una montagna nel mezzo di mille montagne, uno spigolo ripido, tondo nella sua cupola sommitale, che chiude la Serra delle Gravare se lo osservi dalla val Fondillo, uno sperone quasi boscoso di una lunga dorsale boscosa se lo guardi dal Petroso o da Forca Resumi, una anonima quasi indistinguibile tonda cupola nel mare di cime e rotondità disseminate sul territorio se lo guardi da Ovest o da Nord, da Rocca Altiera o da Cima Matarazzo; 1960m. s.l.m. di assoluto isolamento, lontano da tutto, un balcone di prestigio e panoramicissimo, verso il Marsicano e l’alta valle del Sangro, verso i monti della Meta, tanti spunti per renderlo una meta di interesse e quasi irrinunciabile. Finito tante volte nel calendario delle prossime escursioni per tutte non se ne è mai fatto nulla, ma stavolta era arrivato il momento giusto; volevamo godere dei colori di questo autunno incredibile e i pochi tratti di bosco che avremmo dovuto attraversare, le lunghissime dorsali che avremmo dovuto percorrere per raggiungerlo nonché il monte Irto stesso ci sono sembrati pulpiti giusti per poterli vivere; ho pensato di iniziare da Forca d’Acero, salire attraverso il bosco sul monte Panico e da lì non abbandonare più la dorsale fino a percorrere interamente quella di Serra delle Gravare ed approdare al monte Irto, un escursione non breve ma sicuramente e soprattutto in questo momento di grande, grandissima soddisfazione. Manteniamo le intenzioni iniziali, alle 8,15 partiamo da Forca d’Acero, dal parcheggio accanto al rifugio attraversiamo la strada e prendiamo a salire la dorsale boscosa verso Sud senza tenere conto dei tanti segnali azzurri sugli alberi; le nostre sono linee intuitive, conosciamo la direzione, ci teniamo sulla destra e cercando di non perdere quota convergiamo verso la cresta del monte Panico che si intuisce ben presto tra la volta del bosco, bosco che dopo pochi momenti, quelli necessari a far salire il sole sopra le dorsali vicine si ammanta di colori autunnali che variano di momento in momento. Quando il sole colpisce direttamente la cupola del bosco i riflessi che entrano assumono tonalità pazzesche, lame di luce rossastra ora interrotta dai fusti degli alberi ora dalle chiome arrugginite o ambrate dei faggi, colorano l’aria rendendola quasi densa, palpabile, tutte le sfumature dal giallo al marrone passando per i rossi accesi erano intorno, sopra e anche sotto di noi, nel tappeto di foglie già cadute. Questi colori e questi momenti cercavamo, eravamo lì per questo, e ci godiamo ogni istante in silenzio quasi religioso. Superiamo una radura che ha tutta l’aria di essere una dolina, una piccola isola verdissima nel mezzo di alberi infuocati, irreale il contrasto dei colori, buio, quasi nero il fronte del bosco in ombra, giallo infiammato quello colpito da sole, l’erba di un verde elettrico contrastava con la calotta del cielo azzurro intenso, i colori erano caduti dalla tavolozza di Dio con una precisione ed una definizione assoluta; attraversiamo la dolina, saliamo sul versante opposto ed imbocchiamo un ampio “viale” che ci richiamava alla memoria momenti della passeggiata dello scorso inverno. Nulla era uguale però, che differenza di ambiente tra le due stagioni! Quando raggiungiamo uno slargo nel bosco che sale verso l’alto riconosciamo la linea di salita che avevamo già utilizzato quest’inverno, rispetto ad allora la presenza di foglie sugli alberi ci restituisce la sensazione di una boscaglia molto più fitta, di nuovo ci sembra un ambiente diverso. Ripidi, tra pratoni e il bordo del bosco che sta prendendo fuoco saliamo fino a raggiungere la dorsale secondaria scoperta, quasi al limite del ghiaione e della corona di rocce che chiude la valle, senza affrontare i tratti più scoscesi prendiamo a destra, seguiamo un piccolo largo canale sassoso che ci consente di raggiungere facilmente la cresta sotto l’anticima del monte Panico. I confini si allargano al parco intero, fino a Pescasseroli, fino al Marsicano, di più, fino al Gran Sasso che svetta isolato sulla linea dell’orizzonte. Traversiamo sotto l’anticima del monte Panico, è in ombra, un vento freddo fa abbassare repentinamente la temperatura, tocca accelerare per ritornare al sole; quando risentiamo il tepore dei raggi solari un traverso ci porta poco sopra le impalcature anti slavina che proteggono la strada giù sotto, raggiungiamo una sella e con un ultimo breve strappo raggiungiamo la vetta del monte Panico (+1,30 min). Si apre il mondo intorno a noi, ci siamo sopra e non scenderemo più fin quasi alla fine della giornata. La lunga dorsale che abbiamo davanti viaggia sul confine del parco e sul confine tra Lazio e Abruzzo, è uno degli angoli di Appennino che amo di più, si allunga tra vari saliscendi fino al monte San Nicola, risale sulla testa della valle Inguagnera che si chiude sotto Cima di Serra Matarazzo; continua, virando un pò verso Est con la Serra delle Gravare e la piccola tonda cima sul fondo è l’obiettivo della nostra giornata, quasi indistinguibile nel mare di vette sparpagliate prima e accanto; non basta, a fare da sfondo a tutto questo ad Est i Tre Mortari col Balzo della Chiesa e il Capraro, anticipano la lunga dorsale dei monti della Meta, a noi ancora celata. Sotto, a destra, scorre la valle Inguagnera contenuta dalla parallela dorsale della Sera Matarazzo che abbiamo percorso solo lo scorso anno, monte San Marcello e dietro Colle Nero rinfrescano l’avventura invernale, verso Est valle Fredda e quello che si percepisce della val Fondillo sono il trionfo dell’autunno, una estesa coperta di faggi dai colori caldi e sfumati. E’ inevitabile come sempre in questi casi non continuare il giro dell’orizzonte, verso Nord, per scoprire gli Ernici, le cime del Velino e del Gran Sasso. E’ sempre così sul monte Panico, ti senti già appagato, come ci è già ci è accaduto una volta in una giornata invernale con tanta neve e tanta luce. Ma oggi no, oggi dovevamo smarcare finalmente l’Irto. Con la temperatura salita ed il vento affievolito si è fatto leggero camminare, salire e scendere tante volte per questa dorsale con orizzonti vastissimi tutto intorno; evitiamo il San Nicola, gli traversiamo sotto, raggiungiamo i pressi di valico Inguagnera (+ 1 ora dal Panico) dove abbandoniamo il sentiero e continuiamo a salire sulla dorsale che si rialza oltre la sella; esiste una flebile traccia, superiamo un momento di cresta rocciosa dove gli ultimi faggi del bosco che sale dal basso della valle creano angoli fiabeschi. Più in alto la dorsale si assottiglia e confluisce nella pagina della piramide che insieme a Cima Matarazzo chiude valle Inguagnera, sembrava così ripida da lontano che ci sorprendiamo a salire una traccia ben marcata e formata, con facili tornanti ci fa scavallare la cima senza che ce ne accorgiamo, quota 1983 m. praticamente la gemella della contigua cima Matarazzo, ci apre nuovi orizzonti, nuovi confini sul vasto pianoro di Anito Cardillo. Serra delle Gravare inizia da qui e scorre alta sulla val Fondillo, ci precipita più o meno ripida dentro, sul bosco sottostante mentre degrada dolcemente dentro ampi pianori ad Ovest, una miriade di tonde cime si confondono a formare un territorio ondulato e tormentato che sconfina fino alla tonda sagoma del monte Irto, laggiù in fondo, cui fanno da quinta le cime e la dorsale più alta dei monti della Meta; verso Sud-Ovest, oltre la dorsale che chiude l’Anito Cardillo si alzano i profili di Rocca Altiera e di Cima Bellaveduta. Tutte, tutte le volte che si sale da queste parti sorprende la vastità, la ruvida bellezza e l’isolamento di questo territorio e non si capisce mai come sia così poco frequentato; forse è la sua fortuna, una meta sicura per chi ama trovare e vivere la montagna silenziosa. Camminiamo sul ciglio della cresta, alcuni tratti traversiamo poco sotto, fino al valico delle Gravare, incrocio di sentieri da cui si può scendere verso la val Fondillo; tanti i momenti di sosta sul filo di cresta, affacci infuocati sul bosco sottostante tolgono il fiato e non diminuisce il fascino un orizzonte che più o meno rimane lo stesso; siamo fortunati ad avere il giro delle stagioni, i colori sono una peculiarità nostra e di poche altre regioni del mondo, per noi è quasi normale attenderli e viverli in questo periodo, ma non scordiamoci mai della fortuna che abbiamo. Oltre il valico delle gravare il pianioro, sulla carta ora Anito delle Viarelle, si restringe, lasciamo in basso una piccola pozza melmosa, dentro e intorno tanti pigri cavalli si godono la quiete di questa giornata meravigliosa. Verso Nord una immagine inaspettata insolita e singolare infila i due monti Amaro, quello vicinissimo di Opi e quello della Majella che fa da sfondo, non posso che immortalarli in uno scatto che non potrà più tornare. La cresta sale un po’ di quota, poco, quel tanto che basta per avere l’impressione di oltrepassare una piccola sella. L’ambiente si fa confuso, più roccioso, più stretto, una profonda dolina dal compatto fondo erboso scende di una cinquantina di metri, la aggiriamo sulla destra seguendo una parvenza di traccia che non ci fa perdere quota, col senno del poi abbiamo sbagliato a seguirla, tra i ginepri, sul ciglio di cresta della Serra delle Gravare, aggirando la dolina sul versante opposto, scorre una chiara ma invisibile traccia, ce ne accorgeremo solo al ritorno. Aggiriamo la dolina, poi una seconda, il monte Irto tra uno spiraglio e l’altro ci appare imminente, più o meno alla nostra altezza, sembra di stare per raggiungerlo ma si finisce sempre per avere la sensazione che non si avvicini mai; una confusione di avvallamenti e cime che si accavallano non danno evidentemente riferimenti giusti, cominciamo a pensare che ce lo dovremo ancora sudare per un po’, sensazioni che ci consegnano un po’ di affanno, il tempo scorreva e lasciava sempre meno spazio al rientro. Nessuno di noi due voleva mollare sul più bello, ma l’Irto ad ogni gobba o dorsale superata era sempre lì, sembrava non avvicinarsi di un millimetro; non solo, ogni gobba ed ogni dorsale superata ne presentava un’altra ancora, col senno del poi, visto che il rientro è stato veloce, credo che in quel momento ci siamo lasciati prendere da un po’ dalla fretta di arrivare che si è presto tramutata in incertezza, forse ansia per il tempo che scorreva. Superata una costa più alta delle altre, uno sperone piramidale che aggetta sulla val Fondillo più colorata che mai, finalmente tra noi e l’Irto non c’era più nulla davanti, solo un lungo traverso ad aggirare la testata di un’altra ampia dolina dove un piccolo bosco dai toni rossi ricordava quelli in miniatura frutto delle antiche arti bonsai giapponesi. E’ qui che ci rendiamo definitivamente conto delle dimensioni di questo territorio, quando tra noi e l’Irto non c’è più nulla a dividerci e sembra che la vetta sia a portata di piede il traverso non finisce mai; una leggera ma lunga discesa tra bassi ginepri, poi la sella e in fine una inaspettata irta e sdrucciolevole salita fino alla cima, dove un ometto in pietre, nel mezzo di un ampio cespuglio di ginepri sancisce i 1960 m. della vetta (+1 ora dal Valico delle Gravare). Su queste montagne vengono a mancare le proporzioni e i punti di riferimento. Non manca invece, non può mancare la maniacale pietra scarabocchiata, stavolta con pennarello rosso, a siglare la cima; intorno tutto precipita verso il basso, meno male che ci hanno sancito il monte Irto con tanto di quota, potevamo essere tranquilli di aver raggiunto il terminale della Serra delle Gravare, missione compiuta e grazie della rassicurazione! Lasciatemelo dire, la vetta non è niente di che, una tonda ampia cima invasa da ginepri, ma la sua posizione è un trionfo assoluto. Poche cime ho visto così isolate e così nel mezzo di un numero infinito di altre cime. Montagne tutto intorno e non per finta, 360° di orizzonti composti solo da profili importanti. Tutta la lunga dorsale dai Tre Mortari passando per il Balzo della chiesa, il Capraro, Forca Resumi, i Petroso, l’Altare, il Tartaro e infine il bellissimo Meta ci scorreva davanti, inutile dire infinitamente affascinante e purtroppo proibita. E se fosse così affascinante e intrigante proprio perché proibita? La val Fondillo sale sotto le pendici dell’Irto, tra l’Irto e Forca Resumi, si intuisce il valico del Passaggio dell’Orso, scavalla verso la val Canneto, è una vecchia via di transito tra la Marsica abruzzese e l’alto Lazio, una profonda linea boscosa che divide il territorio, non mi piacciono le escursioni completamente immerse nei boschi, ma guardarla da quassù fa venire la voglia di attraversare le due valli. Rocca Altiera e cima Bellaveduta si alzano dietro monte Mari, prima boschi ammantati di rosso e una miriade di alture fino a sconfinare su cima Matarazzo; la lunga dorsale delle Gravare e del San Nicola e Panico poi, il Marsicano, con quasi tutte le montagne del parco fino a sconfinare sul Velino e fino al Corno Grande. Un trionfo, di orizzonti e di profili, montagne a perdita d’occhio come poche volte mi è capitato di poter vedere; tante volte ho cercato di spiegarmi l’interesse che avevo per questa montagna senza riuscirci, ho sempre pensato che fosse la posizioni di rimpetto al Petroso e ai Tre Mortari ad attirarmi, oggi mi piace pensare che avessi intuito il suo splendido isolamento e la sua incredibile centralità. Eravamo combattuti tra il rimanere e ripartire, ci avevamo impiegato cinque ore ad arrivare, erano passate da poco le 13,30, i tempi erano stretti e correvamo il rischio di rientrare con gli ultimi momenti del giorno; non ci siamo dannati, ci siamo presi il tempo, sempre troppo poco, per far diventare “nostro” questo angolo di Appennino, e solo intorno alle 14 del pomeriggio abbiamo preso la via del rientro. Obbligatoriamente per la via dell’andata, una volta scapicollati dal ripido versante dell’Irto, abbiamo dovuto cercare l’imbocco del sentiero che dall’alto sembrava evidente ma che una volta a terra risultava quasi invisibile, sepolto come è tra i cespugli di ginepro, traversiamo in salita fino ai 1941m della prima cima della dorsale a da qui, seguendo la sottile traccia, sempre sepolta tra le macchie di ginepri, ci manteniamo intorno o poco sotto la linea di cresta; costeggiando il perimetro della val Fondillo, non aggiriamo le due doline erbose come all’andata, manteniamo il più possibile le linee di quota sulla dorsale principale della Serra delle Gravare e raggiungiamo l’Anito delle Viarelle in meno di quaranta minuti, ci sembra un attimo rispetto al tempo impiegato all’andata. Anche se ancora lontana cima Matarazzo è già a vista, senza ostacoli nel mezzo se non lunghissimi traversi sotto la dorsale sempre a cercare di non perdere quota, la giornata a disposizione ci sembra improvvisamente più lunga. Tranne alcuni momenti in cui alcune mandrie di cavalli ci costringono a piccole deviazioni, seguiamo la linea del sentiero ora molto evidente, evitiamo il più delle volte di salire sul ciglio di cresta, e traversando l’Anito di Cardito raggiungiamo la fine della Serra delle Gravare; il sole più basso sull’orizzonte distribuisce colori pastello sul paesaggio, ancora più tenui quando si confondono con le nuvole bianche sfilacciate che si vanno materializzando dal niente, si crea un momento introspettivo e di una serenità appassionante dove la lentezza degli eventi sembrava stesse per fermare il tempo, sentiamo il bisogno di fermarci, sederci e lasciare che quella montagna eterea si impossessasse di noi. Non saliamo la cima dei 1983m. che chiude la sella delle Gravare come all’andata, gli tagliamo sotto, costretti un po’ a salire il versante da una mucca che non intendeva cederci il sentiero e che ci osservava con aria più minacciosa che curiosa, raggiungiamo la sella (+1.30min dal monte Irto) sotto Cima Matarazzo che evitiamo di raggiungere. Sul lembo della sella si aprivano due mondi, stavamo per abbandonare orizzonti fatti di tonde cime, ampi altopiani, lunghe creste e quella dorsale giù in fondo dei monti della Meta, dipinti tenuamente da un sole ormai pallido, la calotta del cielo, di un azzurro invece profondo, veniva ogni tanto interrotto da filamentose nubi che sparivano nello stesso tempo in cui si formavano; verso Nord iniziava la lunga valle Inguagnera, del tutto o quasi invasa da nuvole biancastre, coprivano la dorsale del san Nicola, era sparita anche quella del monte Panico. Il primo tratto sulla testata della valle il sentiero è ghiaioso, scende con tornanti ripidi e alcuni traversi fino a raggiungere la linea erbosa del suo letto; prima scorre stretta, sotto in valico Inguagnera si allarga, si scopre dalle nebbie e si ricopre alcuni attimi dopo regalando immagini mutevoli sull’arco roccioso che la chiude, ora in splendido contrato col cielo azzurro, ora confuso o addirittura coperto dalle nuvole. Il bosco nei pressi del valico è infiammato dai raggi radenti di un sole sempre più basso e caldo, attimi mutevoli ed ognuno unico che vorremmo memorizzare per sempre; le immagini forse non riusciremo a memorizzarle, le fotografie riusciranno solo a ricordarceli, ma le pennellate di emozione che ci invadono, quelle no, quelle continueremo a sentirle per sempre come solo i piaceri sottili posso e sanno fare. Raggiunto pozzo Inguagnera, oggi non protetto e pericolosamente esposto a improvvide cadute, prendiamo a salire il versante sulla destra per cercare di intercettare il sentiero di rientro; ci alziamo troppo e a parte goderci un altro giardino roccioso dai colori autunnali meravigliosi ci serve solo per perdere un po’ di tempo ed altre energie. Ritroviamo la linea del sentiero principale quasi subito, raggiungiamo il bosco che già si sentono i rumori del traffico, ormai è fatta, il sole si è nascosto sulle dorsali dall’altra parte della valle quando raggiungiamo la strada che sale a Forca d’Acero e che devo percorrere per chiudere l’anello e ritornare alla macchina. Inutile salire insieme i 2 chilometri di asfalto, Marina si fa convincere a fermarsi ed aspettarmi, copro velocemente il noioso tratto di strada, rinuncio a chiedere passaggi alle poche auto che salgono, e dopo quasi 4 ore dal monte Irto chiudo la giornata. Non perdo tempo per togliermi di dosso le maglie sudate, non sentivo il mutare del clima visto il passo veloce degli ultimi due chilometri ma immaginavo che l’umidità e il calo di temperatura si facessero sentire per Marina, aveva un pile e il guscio per coprirsi, forse erano un po’ pochino; raggiunta, aveva appena iniziato ad accusare il freddo del tardo pomeriggio, ci fermiamo al primo slargo per darci una sistemata e renderci appena presentabili per il ristorante del Covo dei Briganti, una certezza da queste parti, non serve prenotazione, sono capaci e bravi di farti mangiare a qualsiasi ora, si trova accanto all’incrocio che scende per San Donato val Comino. Oggi ho coronato un antico desiderio, raggiungere il monte Irto; Marina mi ha assecondato e alla fine si è divertita e soprattutto ha goduto di una montagna isolata come poche, l’intero comprensorio è fuori dal giro, non si incontra mai nessuno ed oggi non è stata da meno; nelle mie intenzioni volevo rientrare per la stessa traccia dell’andata, dalla dorsale del monte Panico, avrei chiuso esattamente dove avevamo parcheggiato l’auto, l’errata valutazione dei tanti piccoli dislivelli ci ha distolto dall’intento e abbiamo preferito rientrare per la val Inguagnera, pur sapendo che ci saremmo allontananti dal punto di arrivo e che in questa maniera gli ultimi 2 chilometri sarebbero stati di strada asfaltata. L’escursione si chiude dopo quasi 10 ore, 22 i chilometri percorsi, poco peno di 1200 i m. di dislivello superati, 1168 per la precisione; se si tengono conto delle quote secche di partenza e arrivo, 1530m. Forca d’Acero e 1960m. il monte Irto, il dislivello accumulato parla da solo circa il profilo del percorso. Una escursione da 10, come tutte le ultime escursioni che abbiamo fatto, negli ultimi mesi la montagna ci ha sempre regalato bellissimi momenti e scorci indimenticabili; avere questa passione in comune e viverla insieme è davvero una grande fortuna.